Quattro anni fa lo shock: abituati a temperature a una cifra vivere il Natale a 26 gradi è stato come immaginare Santa Klaus in canottiera e mutande trainato da cammelli.
Eppure c’è più di mezzo mondo che è abituato a viverlo a temperature estive ed ormai ha metabolizzato le immagini di di abiti rossi e neve bianca, colori tanto cari non solo alla Coca Cola (guardacaso) ma anche a un noto produttore di sigarette. Sarà un caso eh… Persino l’abete di Natale: facile pensarlo in Finlandia o Italia, ma difficile in Somalia o Messico, ma in fondo risveglia il carattere bambino che è nel nostro DNA: perché non poter sognare un vecchietto che si porta 3 milioni di tonnellate di giochi su una slitta trainato da renne biturbo con un cofano zeppo di motori della Veyron?
Però il Natale senza freddo non è un Natale dice qualcuno. Potrebbe anche avere ragione ma quanto influisce l’abitudine? E poi… di che freddo si parla? quello tagliente pieno di ossigeno dei paesaggi del Trentino o Valle d’Aosta o le nebbie di Cremona e basso piacentino? Quello che esci di casa andando al lavoro maledicendo la brina che si posa sul parabrezza o quello di un ghiacciaio visto da Courmayeur con te vestito da guida alpina?
E il caldo? quanto fa godere mostrare la foto agli amici che ti lanci in acqua preoccupandoti di fare vedere in sottofondo il termometro e un paio di moto d’acqua? Eccezionale fare il cool in un ambiente warm.
Quanto ti fa sentire invidiato poter fotografare spiagge affollate e tipe in topless mentre sai che a duemila chilometri si paga il riscaldamento?
Volete sapere che ne penso? Bene. Io penso che il Natale (nel senso di 25 dicembre), al caldo o al freddo, sia anche una solenne festa di ipocrisia.
La è perché si apre la forbice tra chi può e non può, tra chi è felice e chi vorrebbe esserlo, tra chi ha e chi non ha, tra chi è e chi non è, tra chi è solo e chi no.
La è perché divide chi crede e chi no, tra chi riceve un regalo e chi no, tra chi sogna e chi ha perso la speranza.
La è perché non deve esistere un giorno solo in cui tutti si riuniscano in famiglia, perché c’è chi non ha famiglia. Perché quelli che vanno alla messa di mezzanotte criticano l’abbigliamento del vicino, perché nessuno è buono solo perché crede.
La è perché la tredicesima c’è chi non la ha ma se la meriterebbe, a volte almeno una undicesima.
La è perché il panettone dovrebbe esserci sempre.
La è perché comunque ti rende solo e schiavo del regalo, perché ci sono individui che cercano su Google idee per regalare qualcosa a qualcuno che sarà obbligato a dire “Grazie! Mi mancava proprio!”.
La è perché è il tripudio dell’ipocrisia: ti riempiono di Whatsapp persone che fanno il “manda a tutti” di auguri con video, meme, frasi celebri e qualsiasi cosa di non originale. Che poi se li chiamassi mai durante l’anno si stupirebbero e si chiederebbero “che vuole questo?”.
La è perché in questi anni vige la “riccanza”, cioè fare vedere al prossimo che tu sei ricco e compri da Cartier magari alzando il fido bancario ma vuoi mettere. E’ il paradiso dell’ostentazione e guarda caso chi ostenta quasi mai ha una felicità interiore ma si gode una dose di anestetico per una vita di scalini d’invidia fatti ognuno col culo.
La è perché altro che il bue e l’asinello: è la nascita di Isaac Newton.
La è perché un bambino a Natale senza regali è una lacrima grossa come il Nilo. Non perché non li riceva, ma perché il suo amico sì.
La è perché fa pensare a qualcuno: “a me oggi manca”. Può essere la salute, il compagno, le persone care o anche un solo e semplice affetto a quattro zampe.
La è perché dovrebbe essere un giorno di festa anche per oche e tacchini.
La è perché è una cosa rossa e viene regolarmente.
La è perché tutti fanno le stesse cose, tutti “celebrano” e chi si astiene è un caso da giudicare con sospetto mentre in realtà è uno dei pochi testimoni degli ultimi scampoli di libertà di un gregge sempre più numeroso e unito guidato da sempre più pastori.